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Storia della Sagra

Tradizione & Devozione

LA LETTERATURA DELLA SAGRA

Se per tradizione dobbiamo intendere un’opinione o una usanza antica tramandata di generazione in generazione, alla quale il popolo crede e tiene fede, non c’è

dubbio che la Sagra delle Regne con cui il popolo di Minturno esprime la sua fede e la sua gratitudine alla Madonnna delle Grazie debba includersi tra le più significative tradizioni popolari d’Italia.

Noi che abbiamo dato un contributo notevolissimo alla letteratura della Sagra con la pubblicazione di numerose corrispondenze giornalistiche su «Il Tempo» che meritarono il 10 premio Spiga d’Oro nel 1960, raccolte poi nell’opuscolo Fede, Folklore ed Arte nella Sagra delle Regne di Minturno stampato a cura dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, vogliamo dare un nuovo contributo storico-folkloristico alla manifestazione in questa XXVI edizione 1980 perché in essa vogliamo far rivivere meglio il mondo del lavoro con le sue antiche usanze che la Sagra ricorda e riassume. E’ questo un aspetto che finora è stato trascurato o, almeno, non è stato messo nella sua giusta luce.

IL LAVORO DEI CAMPI E LA FESTA DELLE MESSI

IN GRECIA, IN ROMA E NELLA TERRA AURUNCA

Infatti noi vediamo nella Sagra la parte terminale di un ciclo di attività rurali che impegnava l’agricoltore aurunco per quasi tutto l’anno dall’aratura dei campi alla semina del grano, alla zappettatura, alla mietitura, alla vigliatura. Quindi quasi tutta la fatica di un anno che, infine trionfava nel mare di messidoro sotto il sole di giugno e di luglio.

In definitiva il mondo degli antichi ! Il mondo di Omero e di Virgilio (Salve, magna parens frugum, Saturnia tellus, magna virum) arrivato quasi fino a noi, fino a quando cioè intorno al 1920 non arrivarono nei campi le trebbiatrici (e nel dopoguerra trattori ed ora anche mietitrici meccaniche) a rivoluzionare l’antico lavoro del contadino.

Ora al popolo piace ricordare quel tempo, piace rivivere il lavoro sereno e faticoso della terra e la religione degli antichi riti della primitiva Festa delle Regne

minturnese, diventata Sagra delle Regne nel 1955, culminante con l’offerta alla Madre di Dio della bionda messe dei campi consacrati dall’umano lavoro.

Ecco perché la tradizione qui si mischia con la religione e diventa storia: storia di ieri e di oggi.

Certo : la Grecia e Roma hanno lasciato in questa terra aurunca tracce profonde della loro civiltà e la manifestazione minturnese, pur roteando intorno alla figura solenne della Madonna delle Grazie del Santuario Francescano di Minturno, che è Santuario proprio perché custodisce l’immagine santa dell’affresco trecentesco alla quale è dedicata questa antichissima manifestazione nella quale c’è l’anelito profondo dell’anima verso l’Eterno, affonda le sue radici nelle tradizioni più suggestive dell’umanità mediterranea.

Purtroppo anche per la Sagra ci sono state invenzioni di date e di centenari, mentre un filo ideale la unisce, al di là dei secoli, alle Feste delle Aloe o delle Aloe di Eleusi e di Atene, e quindi al mondo greco, attraverso i Paganalia, ossia le feste dei villaggi, che nel mondo romano venivano celebrate per invocare il favore divino sulle sementi.

IL MONDO OMERICO NELLA PIANURA DEL GARIGLIANO

E ritorniamo al passato…. ad un mondo che non tornerà mai più e che potrà vivere solo nelle pagine degli scrittori e dei poeti !Oh la poesia dei campi che per taluni aspetti resiste alla fuga del tempo !

Il contadino preparava il terreno in luglio e agosto con il maggese, spesso lavorando di notte per difendersi dal caldo del sole: con il maggese la terra si lasciava in

riposo dalle sementi, svoltolandola per l’aereazione, per aiutare la decomposizione di vegetali e per levare le erbacce.

E la scena è quella che Omero ci offre nell’ILIADE descrivendo lo scudo di Achille

…….un morbido maggese

Spazioso, ubertoso e che tre volte

Del vomero la piaga aveva sentito». (XVIII, 715-53)

In ottobre sul maggese si passava il mangano tirato da buoi, asini o cavalli per spianare la terra che l’aratro di legno solcava a novembre per la semina.

E la scena è ancora omerica ;

«Molti aratori lo venian solcahdo,

E sotto il giogo in questa parte e in quella

Stimolando i giovenchi. E come al capo

Giungean del solco, un uom, che giva in volta,

Lor ponea nelle man spumante un nappo

Di dolcissimo bacco; e quei, tornando

Ristorati al lavor, l’almo terreno

Fendean, bramosi di finirlo tutto.

Dietro nereggia la sconvolta gleba». (XVIII, 754-762)

Poi il seminatore spargeva il seme nella terra arata e le donne spianavano i solchi per coprire il grano e farlo dormire sotto terra.

A gennaio il grano germogliato si zappettava e un proverbio diceva :

«chi vuol il grano bravo

lo zappa di gennaro;

chi lo vuole bello

o zappa a febbrarello».

Si ritornava a maggio nei campi per pulire ancore il grano dalle erbacce e poi si aspettava giugno per mietitura.

la scena che si presentava nella pianura del Garigliano quando il grano era biondo d’alta messe era tremila anni fa, quella descritta ancora quella scritta da Omero:

………………………………le destre

D’acuta falce armati, i segatori

Mietean le spighe; e le recise manne

Altre in terra cadean tra solco e solco,

Altre con vinchi le venian stringendo

Tre legator da tergo, a cui festosi

Tra le braccia recandole, i fanciulli

Senza posa porgean le tronche ariste.

In mezzo a tutti, colla verga in pugno,

Sovra un solco sedea del campo il sire,

Tacito e lieto della molta messe». (XVIII, 766-76)

I mietitori, uomini e donne, dunque, ieri come tremila anni or sono falciavano a braccia il grano maturo facendone mannelli e regne (gregne, latino gremia, greco dragma) e sotto il sole bruciante intonavano canti lieti, squillanti, gioconde stornellate e battute salaci.C’era nelle ceste piene un ricco pranzo e fiaschi di vino generoso:

«Sotto una quarcia i suoi serventi intanto

Imbandiscon la mensa, e i lombi curano

D’un immolato bue, mentre le donne,

Intente e mescolar bianche farine,

Van preparando ai mietitor la cena» (XVIII, 778-781 ).

LA MIETITURA E LA VIGLIATURA

Così, come nella Grecia antica e {elle vallate del Nilo, negli sterminati campi della pianura del Garigliano sciami di mietitori e di mietitrici, chini sulle messi, sfidavano il mare di luce e di calore di giugno mentre le piccole falci arcuate apparivano e scomparivano tra il grano e le belle spighe, legate in mannelli, cadevano tra i solchi. Scomparivano a vista le belle distese dorate di grano maturo. Poi nei campi irti di steppie SI vedevano regne (covoni) affastellate sull’aia. Alcune scene sono per noi indimenticabili perché negli anni verdi le abbiamo viste ripetere nelle tante masserie disseminate nella pianura, riparandoci all’ombria di qualche pianta; dal Pantanello alla Fostara, al Torraccio, a San Marco, ai Vignali, alla

Cisterna, alle Cese, ai Tomacelli, all’Arianova, a Maiano, al di qua e di là del fiume, in questa terra meravigliosa dove a Virgilio piacque immaginare i padri aurunci

«armati di adunche falci» (Eneide VII, 732).

Spighe e falci! Sole e mietitori!.

Il sole sferzava con i raggi cocenti, , le spighe recise dalle falci percuotevano il viso con le reste pungenti e il sudore imperlava la fronte abbronzata dei mietitori che tuttavia cantavano e suonavano allegramente nella gioia feconda del lavoro. Ed erano canti che si tramandavano di generazione in generazione, come inni di un rito. Poi le belle spighe d’oro, questa grazia di Dio, riunite in fasci (regne) si portavano sull’aia con carri tirati da buoi e ricordiamo molto bene che dove non arrivava la trebbia, che passava festosamente da un aia

all’altra, squadre di battitori «trebbiavano» (il verbo è esatto: cioè battevano) il grano per farne uscire i chicchi e separarli dalla pula (o cama).

E per alcuni anni in molte zone della pianura del Garigliano il viglio tardò a cedere il campo alla rombante trebbia.

Ma oggi questa «Vigliatura» del grano è un lontano ricordo ! Essa, ora, in questa XXVI Sagra delle Regno si rinnova simbolicamente sugli spalti di Portanova di Minturno perché nella pianura le trebbiatrici ormai divorano i covoni e danno già divisi i chicchi dalla paglia e dalla pula.

LA VIGLIATURA, QUALE POESIA

II viglio formato da due vrivelle, cioè da due bacchette: una chiamata manfano (manico lungo), l’altra chiamata vetta (una specie di clava) unite insieme da una

striscia di cuoio (gombina, la coreggia) è ormai un arnese fuori moda!! Peccato che Omero ci ha dato solo la scena dell’aratura e della mietitura!

Il Sacro Vate ci avrebbe dato certamente un altro meraviglioso quadro folkloristico di agricoltura ellenica. Ora un saggio della BATTITURA antica del grano

si può vedere nella SAGRA DELLE REGNE di Minturno che, in un certo senso, completa le scene omeriche che abbiamo ricordato.

Quante immagini si affollano alla mente che pensa tra i ricordi dell’infanzia e della giovinezza ! Tra esse primeggiano figure di «scognatori» rossi in volto e raggianti di gioia per l’abbondante raccolto dell’annata nell’aia assolata quando nel dopoguerra si era tornati alle usanze antiche.

La VETTA del viglio dei battitori colpiva a ritmo alternato le spighe allestate sull’aia sotto l’ardente canicola e poi, tolta la paglia, si procedeva alla ventilazione per separare la CAMA (pula) dal grano. Era quasi un rito: soffiava il venticello del pomeriggio e il bravo ventilatore alzava reiteratmente con la pala il battuto, fin quando il grano era definitivamente scamato. Poi, il grano, questo biondo figlio del sole, veniva soleggiato e messo nei sacchi e negli «sportoni» di strame che si riempivano per il consumo annuale della famiglia.

Così, dunque, dal maggese al grano: un anno di lavoro e di speranze.

GRATITUDINE ALLA MADONNA DELLE GRAZIE DEL SANTUARIO FRANCESCANO Dl MINTURNO NELLO SPIRITO DEL POVERELLO Dl ASSISI.

E la speranza di un buon raccolto che faceva rivolgere i nostri antichi padri prima a Demetra,. poi a Cerere, fa da tempo rivolgere alla Madre ‘di Dio le preghiere di un popolo che esprime dinanzi all’immagine venerata della Madonna delle Grazie del Santuario francescano la sua fede semplice e spontanea. Ed è questa  la storia religiosa della nostra terra,

inserita del resto nella vita del nostro mezzogiorno,che ha tradizioni autentiche e pure che costituiscono un ricco patrimonio spirituale. Qui, a Minturno, come abbiamo già scritto in altra occasione, l’anima popolare dell’antiça manifestazione diventata nel tempo tutt’uno co miticismo francescano per cui la Cittadella Minturnese di S. Francesco è al centro della Sagra di luglio e ne esalta il significato profondo nello spirito del Poverello di Assisi: Laudato sii,mio Signore… E la bella immagine della Vergine delle Grazie del.

l’affresco trecentesco sembra sorridere dal Santuario agli agricoltori minturnesi che la mattina della Sagra, dalle zone rurali del comune, salgono coi carri sul sacro colle

ripetendo scene agresti che si perdono nel mito e che sono tuttavia vere, anche se col tempo la Sagra si è’ arricchita di altre manifestazioni popolari, folkloristiche,

istruttive e quindi, in definitiva, è diventata essa stessa stimolatrice e produttrice di cultura. Ma ciò che costituisce l’anima genuina della Sagra

resta la sua origine campestre, è quel mondo omerico che travalica i secoli e che la Sagra conserva in modo prevalente per far sentire la poesia dei campi e del lavoro umano che ha fatto germogliare il grano nei «pantani» e sulle sabbie del litorale minturnese, nei «novali» dei colli che circondano l’antico paese, dove la fede del popolo esalta annualmente, nell’accecante sole di luglio, i fasti della sua tradizione simbolo delle umane opere di pace. Ecco perché la cristiana Sagra delle Regne di Minturno è esplosione di gioia in una festa che puntualmente si rinnova come

…………….il mistero di vita che urge tra gli acri travagli dell’anno la gleba e trionfa nell’ampio splendore dei frutti». (Tambolleo)

Proprio così: è il mistero della vita che costringe la terra lavorata per un anno intero a produrre e quindi trionfa nello splendore dei frutti che idealmente tutto un

popolo offre in eucaristica pompa per la Porta Nova. all’altare della Madre di Dio» (Tambolleo) tutta la terra aurunca sembra partecipare a rito sacro, a questo tripudio di fede che i Frati francescani, i gruppi folkloristici, gli allestitori dei carri votivi delle contrade rurali e una folla interminabile sentono prorompere dal cuore, mentre Frate Sole sembra

fermarsi nel cielo per godere ancora uno spettacolo commovente. Questa, dunque, è la Sagra, questo il suo intimo significato.

RAFFAELE CASTRICHINO

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